Inviata per Radio Punto a Sanremo, vi racconto il “mio” festival.
Giunti alla quarta giornata del Festival di Sanremo, la seconda in sala stampa per me, tempo utile per iniziare a tracciare un bilancio dell’organizzazione sanremese, in attesa di commentare vincitori e vinti.
La parola che sento pronunciare con insistenza da artisti, colleghi e che maggiormente si legge nella rassegna stampa è “normalità”: un valore neutro, che sa di positivo.
Non sono una grande amante della “normalità” che da sempre mi rimanda a un concetto di morte apparente, ma qui al Festival pare che l’hashtag dominante sia #normaleèbello. Gli artisti si compiacciono di questo festival dove a parlare è la musica, non la polemica, dove si rincorre uno scambio di complimenti rimbalzati di conferenza in conferenza, in quella che pare essere la fiera del fair play.
Cercherò un senso a questa normalità ricominciando, come sempre, dalle parole. Bandita la parola “crisi”, tutti parlano di impegno, di possibilità, realtà, nessuno nomina la crisi. Forse è dunque questo il colore con cui tingere questa normalità, un valore zero riconquistato a fatica, che pare possa essere un nuovo inizio verso un futuro forse rabbassato nelle aspettative o, forse più semplicemente, edulcorato dall’eccesso di vippitudine a favore di una concretezza professionale.
Certo, un po’ di nostalgia per lo stupore resta, così come ricordato da Andrea Miro’ “C’è una cosa che mi manca, che riflette la conduzione, la linea di Conti, qualche guizzo, qualche momento di stupore, ecco nessuno mi ha ancora stupito veramente, tutto è molto lineare, molto contenuto, tutto molto politically correct”