“Organizzare lo spazio abitabile comporta introdurre modificazioni sul suolo e nell’ambiente. Anche un passero che costruisce un nido e le formiche che scavano un formicaio trasformano ciò che esiste in natura; talora in senso distruttivo (come le formiche rosse per esempio, che s’installano nel tronco degli alberi da frutto e lentamente li fanno morire). Ma un passero o una formica non ne fanno un problema etico. L’uomo sì”
E’ vero, è passato un po’ di tempo, ma oggi mentre assistevo all’abbattimento di Villa Clerici mi è venuto in mente uno dei primi esami universitari: geografia urbanistica, il mio primo 30. Forse sono utopica, ma non vorrei che si pensasse che vorrei fermare con una mano le ruspe e lo sviluppo. Amo Londra e il modo unico con cui la storia più secolare e il design innovativo riescono a convivere, ma non tutto è sacrificabile.
Ho pensato di condividere con voi quella tesina, così per spirito di condivisione e discussione, è un po’ lunghetta ma tanto siete in vacanza no? Colonna sonora, Elio e le Storie Tese “Parco Sempione”
SVILUPPO E INVOLUZIONE NELL’ETA’ DELL’URBANESIMO
di Laura Defendi
Aprendo il libro di geografia urbana a pagina cinque, mi imbatto in queste parole: “Organizzare lo spazio abitabile comporta introdurre modificazioni sul suolo e nell’ambiente. Anche un passero che costruisce un nido e le formiche che scavano un formicaio trasformano ciò che esiste in natura; talora in senso distruttivo (come le formiche rosse per esempio, che s’installano nel tronco degli alberi da frutto e lentamente li fanno morire). Ma un passero o una formica non ne fanno un problema etico. L’uomo sì”. Mi chiedo quanto questo sia vero camminando per una città che già i primi di giugno si scioglie sotto il nostri piedi in una lava catramosa. Provengo da una cittadina di 17.000 abitanti che fino a poco tempo fa aveva come unica insegna notturna quella delle pompe funebri. Un paese che ora ha mire espansionistiche, che vorrebbe colonizzare la campagna per “espandere l’egemonia della città ” e non c’è che dire, lo fa con stile, usando nomi evocativi, o stranieri, per chiamare i nuovi piani di lottizzazione che stanno cementando la campagna.
Immaginate la “Residenza il campo verde” laddove prima il campo verde, quello costruito da madre natura, in questo periodo dell’anno imbiondiva le sue spighe e lasciava correre lo sguardo fino al monte “chiamato con voce lombarda il Resegone ”.
Ora lo sguardo impatta con un cubo di dubbio gusto, alto il doppio delle altre case del quartiere, una nuova Indastria1 che “dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, senza ottenere il poetico effetto di leopardiana memoria.
Volendo poi parlare dei danni al tessuto socioculturale del paese stesso, basti guardare lo scempio di ville e palazzine dell’epoca industriale. Cancellate. Vittime cadute sotto il potere della volumetria residua che spiana la strada ad abbattimenti e nuove edificazioni che non rievocano nemmeno nelle intenzioni il passato di questo paese.
Ma la cosa più emblematica, giusto per riproporre il problema etico e morale di cui sopra, è stata l’abbattimento di una scuola elementare. Morta anche lei sotto i colpi dei martelli pneumatici pre elettorali. Di quella facciata non è rimasto più nulla. Solo qualche ricordo nascosto tra le parole di chi in quella scuola aveva cominciato a muovere i primi passi nella conoscenza e nella società. Altre vittime dell’ignoranza e dell’avidità. Chi di dovere dirà che erano prive di valore artistico e che l’unico valore che aveva era semplicemente quello affettivo; ma quando si iniziano a distruggere i ricordi si inizia a costruire solitudine e paura, quella paura che ormai dilaga e che fa sentire tutti estranei e insicuri dentro città nelle quali si è nati, ma dove non ci si identifica più.
Meglio tornare sui libri prima che la rabbia mi divori.
Ma la lingua batte dove il dente duole e così mi inciampo ancora in brani eloquenti: “…la città è anche un ambiente di segni. In quanto noi attribuiamo un senso alle sue forme, ai suoi colori, ai suoni e alle atmosfere; essa ci comunica qualcosa e ci stimola psicologicamente…”. E ancora: “Se è pacifico che spetti ai cittadini stabilire, tramite i loro rappresentanti; quali quartieri della città si debbano sviluppare e come; e quando sia opportuno crearne degli altri e dove; siamo ancora lontani dall’idea che; in analogia; tocchi ai membri di una collettività nazionale decidere quali città del paese debbano crescere e quando eventualmente debbano sorgere”. E continua: “Il più delle volte però i significati simbolici nono sono voluti da chi ha costruito la città, MA ATTRIBUITI SUCCESSIVAMENTE DAGLI ABITANTI, che tendono a IDENTIFICARSI con certi luoghi, sovente la loro frequentazione ricorrente in occasioni solenni e come LUOGHI QUOTIDIANI D’INCONTRO ne fa dei posti di MEMORIE COMUNI e quindi dei punti di riferimento importanti PER L’IDENTITA’ COLLETTIVA DELLA CITTA’.
Riflettendo durante la lettura mi viene da obbiettare che non è per nulla scontato che spetti agli abitanti stabilire, tramite i loro rappresentanti, le sorti di città, quartieri o singoli stralci di memoria. Gli insulti comparsi nottetempo sui muri nei dintorni della scuola ormai defunta, dimostrano che la volontà della cittadinanza era quella di mantenerla in piedi. Si poteva optare per un intervento di recupero, di riqualificazione, questo sì, mantenendo almeno il prospetto di facciata a memoria futura, che andava fatto in nome dell’etica, della civiltà, della storia, nel rispetto del passato e del futuro.
Le oligarchie affaristiche si sono impossessate della politica e mascherate da comitato per il bene collettivo. Il risultato sarà quello di lasciare pochi ricordi nebulosi che nessuno avrà più né tempo né voglia di ascoltare.
Continuo a leggere :“A un livello più complesso sia la città nel suo insieme sia sue singole parti presentano valori simboli collettivi”. Valori Simbolici Collettivi. Definizione interessante. Il mio paese dunque era privo di alcun Valore Simbolico Collettivo per gli amministratori locali?
Il cartello per contro, quello che pubblicizzava l’imminente costruzione del nuovo centro diurno, invece è fiorito velocemente, casualmente nella promettente primavera elettorale, ma ogni fiore ha vita breve e non sopravvive all’estate torrida e “cementizia”.
Continuando ad abbattere pezzi della nostra storia (anche solo affettiva) cosa otterremo se non città tutte uguali, fatte di moduli prefabbricati svuotati di ogni riferimento culturale?
All’ingresso del paese era bello vedere la vecchia scuola, la piazza con il monumento ai caduti, (l’unica che abbia conservato un po’ di verde); ora come cartolina di benvenuto rimane un sorriso sdentato.
Già, le piazze, altro capitolo dolente. Ho una stretta al cuore, è invidia lo ammetto, quando torno al mio paese di origine e vedo quella bella piazza elegante che ha preservato anche la via per lo struscio cittadino. La domenica ha il profumo della pasticceria storica e la piazza è animata da persone che si salutano da un capo all’altro chiamandosi per nome.
Nella cittadina nella quale vivo le piazze sono parcheggi senza possibilità di salvezza: anche gli ultimi abbattimenti di ruderi verranno utilizzati per edificare abitazioni e negozi. Svanito il progetto di una piazza con fontana, sparita la mia utopica idea di immaginare un parcheggio in prossimità del centro, con del verde dove lasciare le auto, trasformando così la via centrale in isola pedonale. Resteranno le solite strade anguste; gli stessi incroci privi di visibilità. Mi domando in quale pilastro sia rimasta cementata la politica di riqualificazione delle aree urbane.
Comunque al peggio non c’è mai fine: vogliono costruire un enorme centro commerciale, contornato di palazzi per un totale di ottanta nuovi piani abitativi. Lo chiamano sviluppo. Forse il nome giusto è Involuzione.
Nella zona ci sono almeno altri due centri commerciali oltre a diversi supermercati nel raggio di due chilometri ed uno di questi ha voluto e pagato anche una nuova uscita dell’autostrada.
Ora la domanda è: davvero c’è la necessità di un altro centro commerciale?
Un interessante articolo su un quotidiano metteva in luce come il giro d’affari dei grandi centri commerciali stia registrando un forte rallentamento.
Basta guardarsi intorno che già si notano i primi centri commerciali che stentano a decollare o che hanno gallerie semi vuote. Rinnovo dunque il quesito: serve davvero un nuovo centro commerciale? Alle amministrazioni certo conviene: riqualifica di un’area o lottizzazione di nuovi terreni a carico delle società (nella maggior parte dei casi multinazionali) che andranno ad aprire i nuovi centri, piuttosto che nuova viabilità o interventi nell’edilizia pubblica realizzati. La preoccupazione è che presto o tardi questi nuovi fabbricati (in rarissimi casi di pregio architettonico o ben inseriti nel panorama edilizio locale) risulteranno essere cattedrali nel deserto; brutti edifici abbandonati al degrado poiché di difficile o impossibile riqualificazione. Le strutture progettate raramente vengono pensate per essere in grado di servire eventuali usi futuri; il rischio è di creare solo nuovo degrado urbano. Si potrebbe utilizzare l’ex area industriale per costruire un polo funzionale: ad esempio scuole, che erano già insufficienti prima del nuovo boom edilizio e che ora rischiano il collasso, o ripristinare i servizi di consultorio che sono stati eliminati da tempo congestionando ulteriormente i già insufficienti ospedali locali.
Gli esempi pratici e tangibili di una edilizia possibile esistono anche se troppo poco enfatizzati e pubblicizzati. Cassinetta di Lugagnano, ad esempio, comune di circa 1800 abitanti nella provincia di Milano, vincitore del Premio Nazionale dei Comuni Virtuosi per aver adottato un piano strutturale comunale a “crescita zero”. Lo sguardo attento dell’amministrazione ha notato tutti i capannoni abbandonati e gli appartamenti rimasti sfitti, e ha deliberato, con l’appoggio dei cittadini che hanno partecipato in gran numero alle assemblee, di non prevedere nuove costruzioni nei cinque anni a seguire. Altri provvedimenti di “etica elementare” sono stati adottati sul suolo comunale quali, ad esempio, la costruzione di piste ciclo pedonali, allo scopo di disincentivare l’utilizzo dell’auto. Per troppo tempo la qualità di vita e il verde urbano sono stati considerati un “lusso” di cui la popolazione poteva essere privato. Giandomenico Amendola scrive “Verde urbano: in molte culture in particolare in quella mediterranea, la città è pensata in opposizione alla campagna. Inoltre l’elevato valore del suolo urbano ha fatto sì che fino a tempi relativamente recenti la conservazione o creazione di aree verdi all’interno della città fosse considerata un lusso riservato a categorie privilegiate quali i nobili e gli ordini religiosi, le cui riserve fondiarie, passate poi al demanio pubblico, sono all’origine di noti parchi urbani e suburbani di oggi in città storiche come Londra, Parigi, Vienna, Monaco di Baviera, Roma, Torino, Quebec o Tokyo.
Forse saranno molti coloro che pensano che lo sviluppo abbia bisogno di calcestruzzo. Per molti palazzinari la politica adottata da comuni come Cassinetta di Lugagnano, rappresentano una battuta d’arresto, una forma di involuzione troppo ancorata a tradizioni anacronistiche, ma l’uomo non è un passero, non è formica e deve saper percorrere la strada dello sviluppo con etica, salvaguardando il patrimonio territoriale.
Ecco perchè qualcuno
pensa che sia più pratico
radere al suolo un bosco
considerato inutile
roba di questo tipo
non si è mai vista in Africa
che avrà pure tanti problemi
ma di sicuro non quello dei boschi
Vorrei suonare i bonghi
come se fossi in Africa
sotto la quercia nana
in zona Porta Genova
sedicimila firme
niente cibo per Rocco Tanica
ma quel bosco l’hanno rasato
mentre la gente era via per il ponte
(parco Sempione Elio e le Storie Tese)
1 Resti di una grande città futuristica di cui rimane solo la Torre del Sole riferimento . Vedi “Conan” un anime televisivo di 26 episodi, diretto da Hayao Miyazaki, adattamento del romanzo di fantascienza per ragazzi The Incredible Tide di Alexander Key