L’impatto è forte, due corpi nudi, insolitamente maschili, non statue, ma sculture viventi che si spogliano di ogni vestimento per tornare alla “wilderness” infatile, dove il corpo è solo un mezzo per giocare, misurarsi e scambiarsi emozioni. Nessuna sovrastruttura sul capo dei fratelli Loman infanti e poi adolescenti: basta un pigiama dentro le mura domestiche, non servono corazze e parastinchi per conquistare metri. Forse.
Un dramma che potrebbe sembrare datato in un pubblico ormai avvezzo a scene di sfaldamento famigliare e che invece trova la contemporaneità nei figli abbandonati dall’economia, traditi dal mito di un lavoro capace di rendere dignitosa la vita di ogni venditore, di un arrivismo che viene svuotato di senso davanti alle primavere del west, seduti all’ombra perduta di olmi diventuti palazzi.
“Morte di un commesso viaggiatore”, mito del sogno infranto in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano, non è uno spettacolo per tutti. Chi ha voglia di indignarsi, di guardare l’orologio, di pensare che si parli di attori e non di vita, può astenersi dall’esperienza, per tutti gli altri la scena è aperta. Platea eterogenea, quella presente in sala, completamente provata dalle parole, dai corpi, dalle scene, dal dramma che colpisce al centro del bersaglio. Ragazzi che hanno ripetuto più volte “sembra di vedere me”. Adulti con il volto amaro di chi conosce bene il senso di fedeltà sprecato dietro ad un posto di lavoro rincorso per bisogno, certo, ma anche per rispetto di parole disattese date in tempi di onestà. E quanti di noi si sono sentiti venditori frustrati aggrappati a “un giorno mamma vedrai”? Impossibile biasimare Biff che sogna una vita concreta e utopica, che vive con un’onestà palesata nella sua cleptomania. Chi ruba? Chi lavora? Chi ama?
Vite perdute nella speranza di non deludere chi aspetta la “meta”, vite perdute nell’incomprensione e nel senso di colpa, ritrovate nel perverso gioco di annientamento: guardami per quello che sono, non sono niente, sono reale, sono libero.
P.s. Menzione speciale per il volto pallido di Angelo di Genio che non riesce a sorridere sotto lo scroscio di applausi: confine labile tra pelle e maschera.
Morte di un commesso viaggiatore
suono di Giuseppe Marzoli