Ovunque, qualunque…altrove, qui.
“anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perché l’immobilità mi fa terrore?”
(da Ieri ho sofferto il dolore di Alda Merini)
Seduta in questo splendido bar che è Milano e ovunque, tra libri e design, a bere il mio ovvio marocchino.
Lei è un po’ imbruttita, con il telefono sul tavolo, l’agenda di fianco al piatto mentre ingoia un pomodoro che potrebbe avere qualunque sapore, tanto non se ne accorgerebbe. E’ circondata dalla bellezza e da un anticipo di primavera che giunge anche qui, all’ultimo piano di uno store in cemento a vista. Vorrebbe essere altrove, lo grida con ogni molecola del suo corpo, teso e concentrato ad astrarsi da sé, fino a diventare lavoro, controllo, organizzazione.
Vorrei alzarmi, scivolarle accanto e poi sedermi di fronte a lei, su questo sedile trasparente, quasi sospesa davanti ai suoi pensieri. Vorrei prenderle le mani e dirle che può accadere, che deve accadere, che la vita può fluire nelle sue vene fino a renderla rosea. Vorrei spiegarle che il dolore esiste nonostante noi, nonostante le regole e la buona creanza. Esiste, come esiste la necessaria e irreversibile esigenza di rinnovarsi, come cellule nuove che prendono il posto di quelle esauste, in un ciclo identico a se stesso fino al nostro esaurirsi.
Vorrei che mi credesse quando le dico che nulla accade invano, che questa morte sarà una rinascita che ancora non può comprendere in questo utero di dolore, ovattato e disegnato solo da ombre. Vorrei essere così forte da alzarmi e raggiungerla, ma resto qui a pensare e lei si alza veloce, scappa via scomparendo nell’ascensore, correndo a passo veloce fuori, mentre il dolore la segue senza affanno, con il suo incedere pesante e silente.
Lascio qui un caffè sospeso, sperando che quella donna torni in un giorno migliore e con il sorriso possa assaporare una vera pausa all’aroma di caffè e nuove promesse.
Ieri ho sofferto il dolore
Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perchè l’immobilità mi fa terrore?
(Alda Merini)
©Laura Defendi, 2015