Caffè sospeso è la mia rubrica fissa su Sdiario di Barbara Garlaschelli dove racconto storie come fossi seduta ad un caffè, guardando e ascoltando le persone, sfogliando il giornale. Sarà il suo sguardo sul mondo che diventerà un po’ anche nostro.
“Allargare l’area della coscienza”
Non ho il controllo delle parole, ma ne conosco il peso.
Di nuovo qui a scrivervi questa volta in versione domestica. E’ quasi notte, in tv passano un film documentario su Allen Ginsberg. Inutile dirvi quanto io ami gli “hipster capi d’angeli, i wrong way, gli occhiali chissa’ dove, caos, caos, disertando nel vuoto su quale sia il senso della realta’, un promettente momento di allucinazione”, già presa dai fumi lisergici della poesia che, da sempre, mi hanno mandato in overdose senza mai passare da cilici chimici.
Chiedono ad Allen l`origine della sua poesia e, con i dovuti ridimensionamenti, penso a quando hanno chiesto anche a me la stessa cosa. Non era una domanda a scopo letterario, era una domanda personale senza alcuna volontà artistica, così come sono le cose che scrivo e che, per brevità e convenzione, chiamero’ allo stesso modo.
La prima poesia l’ho scritta a tredici anni, di pancia e in rima. Potete immaginare il risultato. Tralasciando le disanime di metrica e stile, penso solo al perché ho scelto la scrittura per completare il mio mondo quando veniva, o viene, interrotto. La poesia dona il senso alle cose che restano incompiute, proietta pensieri, a volte è la ricerca di un valore nelle banalita’ di ogni cosa.
Non ho il controllo delle parole, ma ne conosco il peso. Conosco il peso delle parole omesse, sottratte, rinchiuse, strappate dal brusio di fondo di ragioni inutili.
Quando tutti mi chiedevano di parlare, io rispondevo con il silenzio di poesie nascoste per tanti anni in cassetti segreti. Non volevo che mi capissero nel palesarsi delle parole, dovevano cercarmi negli spazi, nei troncamenti, negli enjambementi, negli accapo, nei punti che zittivano un singhiozzo. Era un perverso gioco in cui scappavo spendendo energie che recuperavo nel silenzio, fino a trovarmi sola in un una scacchiera resa inutile dalle pedine perse nella corsa.
Solo la poesia ha conservato la vita che ho rifiutato, i ricordi che avrei perso. Per questo amo Ginsberg, perché è un flusso di cose che accadono, che appartengono all`umanità tutta, anche quella che si indigna, e assume i colori nuovi di una vita che afferma la propria identità attingendo dalla cultura, guardando la realtà corporea e plastica, disfando e ricucendo suoni, metriche e significati. Ginsberg è negli spazi rimasti vuoti, Ginsberg è negli spazi che la sua poesia ha riempito.